Prezzo gas naturale: in America costa 5-6 volte meno rispetto all’Europa
In una discesa che sembra ormai senza freni, le quotazioni del gas naturale negli Stati Uniti hanno toccato ieri al Nymex il livello più basso da dieci anni: 2,346 dollari per milione di British thermal units (Mbtu). L’ennesimo scivolone si è accompagnato a una forte crescita del numero di posizioni aperte e a volumi di scambio quasi da record, segno che gli investitori non stanno solo liquidando posizioni lunghe, ossia all’acquisto, ma sono impegnati a moltiplicare le scommesse al ribasso, creando le premesse per un’ulteriore discesa dei prezzi.
La tendenza, tuttavia, non è il frutto di semplici speculazioni finanziarie, quanto lo specchio dell’enorme – e fino a pochi anni fa del tutto imprevista – abbondanza di gas sul mercato americano. Un’eccedenza ulteriormente accentuata dal clima mite, che sta riducendo i consumi per riscaldamento. Una situazione completamente diversa da quella che si vive in Europa, dove il gas costa fino a 5-6 volte di più che negli Usa, nonostante la vistosa contrazione della domanda, legata non solo all’inverno non troppo rigido, ma soprattutto alla crisi economica: Société Générale stima che nel 2011 i consumi siano diminuiti dell’11%, il calo più alto che si sia mai verificato.
Quanto all’Italia, il Gestore dei mercati energetici (Gme) ha registrato, dopo la ripresa del 2010, una diminuzione del 6% dei consumi l’anno scorso (a 77,4 miliardi di metri cubi). I prezzi al Punto di scambio virtuale sono però saliti per il secondo anno consecutivo, «riportandosi sui livelli record del 2008 e confermandosi nettamente superiori alle quotazioni dei principali hub europei»: la media è stata di 28,27 euro/MWh (+21%) e a dicembre si è arrivati, sempre in media, a 33,10 €/MWh.
Fatte le dovute conversioni, i prezzi Usa risultano intorno a 5 €/MWh. Il problema è che in Italia e in molti altri Paesi europei il gas viene acquistato soprattutto con contratti di lungo termine, in cui il prezzo è calcolato con formule basate sulle quotazioni del petrolio (che nel 2011 è rimasto quasi sempre al di sopra dei 100 $/barile). Negli Usa, invece, il prezzo del gas è condizionato dalla domanda e dall’offerta di gas. E quest’ultima, con l’enorme sviluppo dello shale gas, è letteralmente esplosa negli ultimi anni. Il dipartimento per l’Energia stima che la produzione nel 2011 sia cresciuta del 7,4%, al massimo storico di 65,92 miliardi di piedi cubi (1,87 miliardi di metri cubi) al giorno. Per il 2012 la previsione è che si arrivi a 67,34 miliardi di piedi cubi.
Il crollo dei prezzi sta iniziando a scoraggiare i produttori: il numero di trivelle attive nell’estrazione di gas è sceso a 791, il minimo da due anni, sotto la soglia di 800 che alcuni analisti indicano come quella che potrebbe abbassare l’output. Ma fermare il boom è difficile. Molte società devono continuare a trivellare per non perdere le licenze esplorative che hanno acquistato a caro prezzo. Altre si sono già reindirizzate verso giacimenti che contengono liquidi (petrolio o i redditizi etano e butano), ma questi sgorgano comunque associati a gas.
L’unica soluzione per far risalire i prezzi sembra essere l’esportazione, sotto forma di Gas naturale liquefatto (Gnl): ben 7 impianti, in origine progettati per importare Gnl negli Usa, hanno chiesto l’autorizzazione a riconvertirsi per l’export. Uno solo (a Sabine Pass, in Louisiana) ha finora ottenuto il permesso. E per gli altri potrebbe non essere facile. Molti politici denunciano il rischio di un aumento dei prezzi del gas anche per i consumatori, se gli Usa iniziassero a esportare. Uno studio diffuso ieri dall’Energy Information Administration dà loro ragione, prevedendo tra il 2015 e il 2035 possibili rincari del 3-9% l’anno, più un aumento dell’1-3% delle bollette elettriche per le utenze domestiche.