Prezzo petrolio in ascesa mina la ripresa economica
Si è chiusa tra i guadagni l’ultima seduta di aprile del mercato petrolifero. Al termine di giornata molto volatile il Brent con scadenza giugno è salito di un dollaro, a 126 dollari al barile. In crescita anche i future con analoga scadenza al New York Mercantile Exchange, giunti a 113,93 dollari al barile (+0,89%). Valori, questi ultimi, che superano i livelli toccati giovedì scorso e portano l’americano Wti a riaggiornare al massimo da 31 mesi.
Per l’ottavo mese consecutivo il greggio fa segnare dunque un rialzo. Ed è ancora una volta il dollaro debole (l’euro scambiava ieri 1,48 contro il biglietto verde) ad aver agevolato gli acquisti. E le preoccupazioni tra gli operatori non mancano. A parlare ieri è stato Fatih Birol, capo economista dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) secondo cui «i prezzi alti rischiano di minacciare una ripresa economica ancora fragile». I trader, da parte loro, temono che l’aumento dei prezzi della benzina – giunti a 4 dollari al gallone negli Usa, i più grandi consumatori di petrolio – possa procurare un drammatico calo della domanda. Lo stesso Dipartimento americano per l’Energia ha rivisto al ribasso la domanda totale di petrolio del 3% rispetto alle stime di febbraio. E gli effetti del rincaro del greggio rischiano di trasferirsi sui prezzi delle benzine. Il ceo di Wal-Mart nei giorni scorsi ha segnalato che la fiammata dei prezzi dei carburanti sta mettendo «a dura prova la capacità di spesa dei consumatori americani, tanto da provocare una riduzione degli acquisti».
Brutte notizie per un’economia che mostra già segni di rallentamento, come indicato anche dal Dipartimento per il Commercio: nei primi tre mesi dell’anno il Pil a stelle e strisce è aumentato solo dell’1,8% contro il 3,1% del quarto trimestre 2010. Senza contare che la crescita (inattesa) delle richieste di sussidi alla disoccupazione si tradurrà inevitabilmente in un calo della domanda di trasporto.
I segnali che preannunciano ulteriori incrementi delle quotazioni peraltro non mancano. Nei giorni scorsi il ministro saudita Ali Al Naimi si era detto pronto a ridurre la produzione di greggio di 800mila barili al giorno, dopo che egli stesso a febbraio aveva deciso di rialzare la produzione per bilanciare l’interruzione delle forniture dalla Libia.
E anche le posizioni di acquisto dei money manager americani preannunciano un proseguimento del rally del barile. Secondo i dati della Commodity futures trading commission (Cftc), le posizioni nette lunghe (ovvero di scommesse su ulteriori aumenti) sul Wti sono pari a 289.916, una quota simile al dato record del 3 marzo, quando furono raggiunti i 311.632 contratti.
Le convinzioni degli operatori non danno alcuna certezza del futuro andamento dei prezzi. Basti pensare che nel settembre 2008, quando i prezzi del barile stavano oramai rapidamente retrocedendo dal picco di 148 dollari raggiunto a luglio, ben il 60% dei gestori americani era posizionato ancora al rialzo. E pur vero però che questi dati sono un termometro perfetto dell’umore dei mercati. E in questo caso i numeri del Cftc confermano che il barile sta diventando un asset sempre più popolare tra gli investitori.