Ecco gli “Stability Bond” europei per proteggere i Paesi più deboli
Non chiamateli Eurobond. Sin dalla prima nota della sua proposta di riflessione, la Commissione Ue mette le cose in chiaro, e scrive che sì, è vero, in genere «nelle discussioni pubbliche si usa questo termine», però visto che l’esecutivo ritiene che «la loro principale caratteristica sia quella di rafforzare la stabilità finanziaria dell’Eurozona», allora è meglio battezzarli «Stability Bond». E’ un trucco ad uso degli scettici che non intacca la sostanza. Bruxelles pensa siano necessari e vorrebbe usarli per sostituire almeno in parte i debiti sovrani, così da diminuirne il costo, dar loro una protezione e ridurre la pressione speculativa. Missione dura, ma non impossibile.
E’ un curioso destino che il «Libro verde sulla fattibilità degli Stability bond» sia in agenda nella riunione della Commissione di mercoledì. Lo è per la circostanza che lega gli E-Bond a Mario Monti, il quale in un rapporto al presidente Barroso del maggio 2010 scrisse che l’Europa «soffre per la mancanza di un suo strumento globale» e sostenne l’esigenza di adottare gli eurobond per «correggere la frammentazione del mercato dei titoli di Stato continentale». Lo è anche perché il giorno dopo, giovedì, il neopremier vedrà Angela Merkel, che degli E-Bond è nemico giurato, e Nicolas Sarkozy, che invece è favorevole. Sarà l’occasione per un sondaggio importante. Col vantaggio di avere in mano un ventaglio di proposte su cui misurarsi.
Eccolo qui. Nella bozza ottenuta da La Stampa sono 41 pagine, note e bibliografia comprese. Lo schema è lineare. Premessa per argomentare l’utilità di aprire il dibattito come auspicato anche dall’Europarlamento. Due possibilità per la gestione delle emissioni europee, Agenzia centrale contro emissioni locali. Tre modelli di Stability bond a seconda del grado di sostituzione dei passivi e quello di presa in carico comune dei disavanzi europei. Queste emissioni, dice la Commissione,«di recente sono state indicate come fattore potenziale capace di alleviare le tensioni nel mercato dei debiti sovrani anche a breve».
In pratica, si tratta di finanziare, in parte più o meno consistente il debito dell’Eurozona attraverso emissioni centralizzate. La garanzia dei più forti e affidabili comprimerebbe i costi per le capitali a rating ridotto. «Anche il solo accordo di principio sulle operazioni comuni insiste Bruxelles – potrebbe avere un impatto immediato sulle aspettative dei mercati», riducendo così la pressione sui paesi più oggetto di speculazione. Gli Stability bond, si argomenta ancora, «renderebbero il sistema finanziario dell’Eurozona più resistente agli shock negativi, pertanto ne rafforzerebbero l’equilibrio», con benefici ovvi anche per le banche.
A una condizione, sottolinea bene la Commissione sperando che Berlino capisca. «Qualsiasi Stability bond dovrebbe essere accompagnato da un sostanziale rafforzamento della sorveglianza fiscale e dal più stretto coordinamento delle politiche di bilancio», così da evitare azzardi morali, cioè di consentire a qualcuno di scaricare i propri problemi sugli altri. Gli E-Bond, è la promessa solenne, «non devono ridurre la disciplina di bilancio nell’Eurozona». Bruxelles apre la consultazione e chiede di ragionare sull’ipotesi di un’Agenzia emittente centrale, che potrebbe essere un’evoluzione del fondo anticrac (Efsf) o del successore permanente (Esm). Quindi cala tre modelli di E-Bond. Il primo prevede la totale sostituzione delle emissioni nazionali, con piene garanzie congiunte. E’ la soluzione più forte, crea il debito europeo e un immenso mercato dove trattarlo, ma ha il difetto di richiedere una lunga revisione dei Trattati e un coordinamento ferreo delle politiche di bilancio.
Il secondo approccio porta alla sostituzione di una limitata porzione di emissioni nazionali con piena garanzia: condurrebbe i blu bond (europei, magari il 60% della posta) e ai red bond (nazionali) con contrattazioni parallele; è meno ambizioso, riduce l’azzardo, non i tempi per le regole costituzionali da riscrivere. La terza ipotesi è la più pratica, fattibile senza toccare i Trattati. Ogni Stato avrebbe due forme di finanziamento per il debito, del quale rimarrebbe comunque integralmente responsabile: una sarebbe l’accesso diretto e tradizionale al mercato; l’altra vedrebbe un’entità Ue raccogliere titoli di debito in modo centrale e poi ripartirli pro quota. Il vantaggio? La parte europea avrebbe un prezzo minore e dunque abbasserebbe la media del servizio del debito. Vantaggio limitato in cambio di regole immutate. E’ il punto di partenza per un negoziato che si presenta in salita. Intanto, però, il treno è partito. E questo è già un risultato straordinario.